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Energia cellulare, radicali liberi ed invecchiamento della pelle. Un breve “viaggio” tra Europa e Asia che svela come gli antiossidanti migliorino la pelle

Il nostro viaggio parte dai mitocondri…

Il mitocondrio è l’organello intracellulare responsabile della conversione dell’energia proveniente dagli alimenti in una forma adatta ad alimentare i processi cellulari. Nel mitocondrio avvengono le trasformazioni che a partire dall’ossigeno dell’aria, formano anidride carbonica. Durante questo processo, fisiologicamente si vengono a creare modeste quantità di radicali liberi, molecole molto reattive in grado di rompere i legami chimici di proteine, membrane e DNA, portando a prodotti non più correttamente funzionanti o addirittura inutilizzabili da parte della cellula. L’ambiente cellulare interno però, in condizioni normali, risulta protetto da notevoli quantità di sostanze antiossidanti fabbricate fisiologicamente in maniera diretta dalla cellula stessa. Quando l’equilibrio tra radicali liberi e antiossidanti si interrompe per il sopraggiungere di condizioni quali l’utilizzo di alcuni tipi di farmaci, radiazioni come le UV e particelle inquinanti, la cellula precipita in uno stato di stress ossidativo, condizione che vede un proliferare di danneggiamenti delle strutture cellulari ad opera dei radicali liberi non più tamponati. In questa condizione inoltre questi errori che si accumulano, riducono l’efficienza dei processi energetici, che a sua volta si ripercuote sull’efficienza dei processi riparativi, che diminuiscono, rendendo ancora più vulnerabile la cellula. Uno sguardo al mitocondrio Come detto in precedenza, i radicali liberi in eccesso provocano ingenti danni alle strutture cellulari. Una vittima illustre di questi danni è proprio il mitocondrio. La delezione mitocondriale comune (CD) è una mutazione indotta dallo stress ossidativo. La maggior fonte di stress ossidativo è il processo della respirazione cellulare, portato avanti da enzimi situati proprio nei mitocondri. Un’altra fonte importante di stress ossidativo è l’esposizione ai fattori ambientali. Per la pelle umana, il principale fattore dannoso dovuto all’ambiente è senz’altro la luce ultravioletta (UV), in grado di indurre mutazioni di tipo CD, nonché di promuovere i caratteristici segni d’invecchiamento della pelle.

Un paragone tra donne tedesche e donne giapponesi

Tradizionalmente, i livelli di esposizione ai raggi UV differiscono tra molto tra due popolazioni differenti come quella tedesca e quella giapponese, così come culturalmente una pelle abbronzata indica bellezza, salute e benessere nelle culture occidentali, la fotoprotezione della pelle è considerata ideale in Asia.

Per capire come l’esposizione ai raggi UV influisca sull’efficienza del mitocondrio, un gruppo di ricercatori tedeschi e giapponesi hanno condotto uno studio su un campione di donne dei rispettivi paesi. In particolare i ricercatori hanno ipotizzato che (i) la concentrazione di CD nella pelle esposta ai fattori ambientali viene influenzata dal modello di esposizione ai raggi UV dovuto al contesto culturale dei due diversi paesi e (ii) che le concentrazioni di CD nelle zone della pelle esposte ai fattori ambientali può essere associato a manifestazioni tipiche di invecchiamento cutaneo. In questo studio, i ricercatori hanno determinato la concentrazione di CD nella pelle dal collo (zona normalmente esposta ai fattori ambientali) e nella pelle della natica (zona normalmente coperta) di 22 donne tedesche e 46 giapponesi tra i 30 ed i 70 anni di età.

I ricercatori hanno valutato i segni dell’invecchiamento della pelle con un punteggio validato clinicamente, mentre l’esposizione a fattori ambientali, quali l’esposizione ai raggi UV e il fumo, è stata valutata utilizzando un questionario.

Livelli più elevati di CD sono stati rilevati nella pelle del collo rispetto alla pelle del gluteo sia nel campione di donne tedesche sia in quello di donne giapponesi. CD, in particolare, risulta aumentato con l’aumento dell’età nella pelle del collo.

Inoltre si è notato che le donne tedesche presentavano più alte concentrazioni di CD nella pelle del collo rispetto alle donne giapponesi, mentre le concentrazioni di CD nei campioni di pelle dei glutei erano simili in entrambe le popolazioni.

Questi risultati suggeriscono come una maggiore esposizione ambientale ai raggi UV porti a livelli più alti di CD nella pelle delle donne tedesche rispetto alle donne giapponesi. Tuttavia, solo nelle donne giapponesi i segni dell’invecchiamento cutaneo sono stati associati con le concentrazioni di CD più alte nella pelle del collo, in accordo con l’ipotesi (ii). Nelle donne tedesche, non è stata riscontrata quest’associazione. Una possibile spiegazione di questa differenza potrebbe essere dovuta al raggiungimento, da parte della pelle delle donne tedesche, di un livello massimo di CD, oltre il quale le cellule subiscono una selezione negativa e non sono più presenti nel tessuto e vengono pertanto perse dai campioni in esame.

In conclusione, in alcune condizioni, sembra che ci sia un’associazione tra la concentrazione di mutazione CD e l’invecchiamento della pelle, anche se, a causa dell’intervento di quei processi cellulari e dei tessuti che influenzano il ricambio della pelle, non si riesce ad individuare una netta correlazione statistica, in quanto se il ricambio della cellule della pelle è elevato, la presenza della mutazione CD è minore, in quanto in cellule nuove non ha ancora avuto tempo di raggiungere livelli troppo alti.

Quindi, se ulteriori studi confermassero l’ipotesi per cui dato un raggiungimento di elevati livelli di CD la cellula va incontro a selezione, ci sarebbero le basi per supportare le campagne di prevenzione all’esposizione solare, si potrebbe finalmente fare un inchino ai filtri di protezione solare e soprattutto i molti fan dei lettini solari potrebbero anche cambiare idea!

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Le basi genetiche della psoriasi: identificato il primo gene direttamente coinvolto nello sviluppo della “psoriasi a placche”.

Le basi genetiche della psoriasi: identificato il primo gene direttamente coinvolto nello sviluppo della “psoriasi a placche”, la forma più comune di psoriasi.

“La ricerca degli ultimi venti anni ha condotto ad un solo gene coinvolto nella psoriasi a placche” ha affermato Anne Bowcock, Professoressa di genetica presso la Washington University School of Medicine di St. Louis.

“Le rare mutazioni che abbiamo scoperto molto probabilmente sono correlate con un elevato rischio di sviluppo della patologia; Noi riteniamo che giochino un ruolo molto importante per orientare la ricerca verso la scoperta di trattamenti efficaci”.

Nel condurre lo studio i ricercatori hanno utilizzato le più recenti tecniche di manipolazione del DNA per svelare la rara mutazione del gene CARD14, in una famiglia europea con alta prevalenza di psoriasi a placche ed artrite psoriasica. Questa mutazione è stata scoperta anche in svariati membri di una estesa famiglia di Taiwan, che presentavano una condizione patologica caratterizzata da secchezza e chiazze rosse, che mostravano distaccamenti e desquamazione.

La mutazione genetica è stata identificata inoltre in una bambina di tre anni affetta da una forma rara e severa di psoriasi, ma non ereditaria. La bambina ha sviluppato questa condizione a seguito del trattamento farmacologico contro un’infezione da staffilococco.

“Questo è molto significativo, poiché indica che il semplice accoppiamento tra mutazione del gene CARD14 e un fattore ambientale è in grado di scatenare la psoriasi”. ha spiegato la Dott.ssa Bowcock. “Non c’è bisogno di altro. Questo sottolinea l’importanza della scoperta di mutazioni rare in una malattia comune come la psoriasi”.

La scoperta suggerisce che le anomalie presenti a livello delle cellule del sistema immunitario rappresentano soltanto una causa secondaria di psoriasi. I ricercatori sono convinti che i difetti della pelle siano i principali responsabili della condizione patologica.

Partendo inoltre dall’osservazione che nei membri della famiglia affetti da artrite psoriasica era presente la mutazione, gli autori dello studio ipotizzano che questa rara mutazione possa essere collegata almeno a quest’altra forma di psoriasi caratterizzata da un’artrite debilitante.

“Oggi abbiamo un quadro più chiaro di quello che avviene nella psoriasi, e attraverso tutte le tipologie di principi attivi in grado di interagire con la pathway di CARD14, il campo è davvero aperto.” ha concluso la Bowcock.

La ricerca è stata rilasciata online prima della pubblicazione cartacea in due articoli separati nel numero di Maggio dell’ “American Journal of Human Genetics”.

Fonte:

Washington University School of Medicine in St. Louis, news release, April 17, 2012

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